mauro smocovich

Mauro Smocovich

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(china su carta e sangue)
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I pensieri sono in perfetto silenzio.
Nel momento stesso in cui si manifestano,
il loro silenzio appare imperfetto.
(come appare un mio pensiero)

Ogni apparire è imperfetto: esso nasconde l'essere...
Soltanto l'apparire... è appena vivibile.
(Dell'Imperfezione - Algirdas Julien Greimas)

...emerge una caratteristica paradossale della comunicazione...
Non esistono sistemi semiotici tanto potenti e così univocamente stabili e condivisi da consentire di disvelarsi totalmente e senza ambiguità... Dobbiamo dunque ammettere che l'intenzione comunicativa, in ogni caso, non riesce a superare totalmente l'incomunicabilità...
anche la scelta di non comunicare... trova un suo limite nella costrizione... di dover esplicitare questa intenzione, assumendo la forma di atto di comunicazione...
(Elementi di psicologia della comunicazione - Luigi Anolli e Rita Ciceri)

Scheda


Mauro Smocovich (1966). Scrittore.
Ha pubblicato "L'Angelo Curioso/Imperfetto Silenzio", Noubs, 1997:
due raccolte di racconti che spaziano tra la letteratura di genere con le prefazioni di Carlo Lucarelli.
Alcuni suoi racconti si trovano sul sito de "La Pergamena Virtuale".
Ha sceneggiato lo spettacolo multivisivo della DTF Inc. "L'Angelo Imperfetto" tenutosi a Camerino durante la manifestazione "Camerino Photographs 2000".
Ha collaborato con le riviste "Virus" e "Moov". Insieme a Vittorio Spasic ha curato "Fabula Rasa" programma radiofonico di letteratura e non solo per Radio Città. E' curatore del sito di Carlo Lucarelli (http://carlolucarelli.supereva.it).







Racconti




SPETTRO DI PENSIERI



La porta cigolò e aprì una ferita chiara nella stanza. Una lama di luce scivolò nel cubo compatto e nero del buio.
Apparve.
Non era né un vagito né un pianto. Un conato o un ricordo. Rughe o sorrisi non aveva.
In silenzio si ritrasse lasciandomi racchiuso tra le lenzuola di sonno impastato.
Era lo spettro dei pensieri che visita la notte dei dormienti.





MALINCONIA



Impercettibile, la bava del ragno tesseva la tela. I filamenti organici si disponevano secondo un disegno logico e programmato.
L'intricata griglia attendeva la preda.
Tra le pareti, invece, ronzava tenace il pensiero dell'uomo. Nell'intento di uscire all'aperto, sbatteva insistentemente contro i vetri appannati dalla stanchezza. In testa vibravano i timpani. Un fastidioso solletico perseguitava l'interno dell'orecchio. Una gran voglia di grattarsi il cervello.
Terminato il lavoro, il ragno era andato a rincantucciarsi al suo posto, all'angolo del vetro. La pazienza era la sua migliore qualità.
L'uomo si alzò dalla sedia e si diresse verso la finestra. Il sole era fuori e contrastava con l'intimo grigiore. Quella mosca non gradiva il silenzio.

Bzzzzzz, bzzzzzzzzzzzzzz
zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz,
bzzzzz
zzzzzzzzzzzzzzzzzzz.

Ad un tratto, l'uomo notò la ragnatela. Si avvicinò alla labirintica opera e, nel posare gli occhi su di essa, il pensiero vi cadde. Improvvisamente, il ragno uscì dal suo nascondiglio, si diresse in fretta verso l'animale imprigionato, vi girò incessantemente attorno con una destrezza maniacale: ogni giro, un filamento che intrappolava l'insetto.
Un battere d'ali rallentato, trattenuto, fermato, bloccato, un batuffolo di bava opaco, statico.
Il ragno aveva inoculato il veleno in un pensiero senza più pretese di volo.
Il cadavere di un sogno.
L'aracnide si nutrì dei suoi succhi organici.



("Nella Tela del Ragno")



INCUBI E SUCCUBI

a S.


Budella fredde di lucertola. Liquido dolciastro. Mi diverto a masticare lentamente. Schiocco e schiaccio coi molari.
Cadenza ripetitiva. Costante. Ripetitiva.
Siedo al tuo giaciglio e osservo. Fresca la bocca piagata. Nuda la schiena contratta. Premuta, tra vertebre e filo di luna, la pelle si tira. Fino in basso accarezza le curve. Il sesso si scalda. Il tempo si dilata. Saetta il sangue nelle cavità naturali: intrecci di vita ansimante.
Dormi, stringendo il lenzuolo e respiri pensieri salmastri. Drappi neri avvolgono i muscoli a tratti, scopri i fasci nodosi della carne, le parti tènere da accarezzare.
Contrazione ripetitiva. Costante. Ripetitiva.
Tutta la notte ti penso.
Ti accorgerai di me e sarai desiderio.



IL BAMBINO NELLO SPECCHIO


"Apri la porta al tuo papà."
Le nocche della mano toccano il legno un paio di volte. Il rumore è leggero e veloce ma rimbomba nell'eco di due boati. Nella testa del bambino.
"Apri la porta, prendiamo due pizze e guardiamo la tv da buoni amici." La voce è supplichevole. La maniglia gira lentamente. "Non devi chiuderti a chiave, tesoro. Sono il tuo papà."
Papà...
Il bambino fa per convincersi, in fondo è suo padre... si muove verso la serratura e scorre davanti allo specchio del bagno.
L'immagine è un attimo.
Striscia sul vetro che la rimanda agli occhi del piccolo.
È un colore.
Il rosso sul suo viso gonfio.
È un odore di narici otturate in fili di muco.
Un sapore dolciastro sulla bocca dolore.
Una macchia di pensiero e saliva. Capillari rotti e pelle che scoppia.
Il bambino nello specchio non sembra lui.
L'uomo della porta non sembra papà.
"Vuoi aprire la porta? Sto perdendo la pazienza."
La voce s'è fatta più dura.
Il bambino apre la bocca. La parola esce prima del pensiero:
"No." Intravede quel bambino macchiato nello specchio rispondere per lui. Si morde le labbra riaprendo una ferita. Il sapore lo fa tremare. No, papà, no.
Al di là del legno, un respiro trattenuto.
All'improvviso una violenta spallata gonfia la porta minacciosa. La voce è urlata, pesante, biascicata nell'alcool serale. Arriva alle orecchie del bambino come un'ennesima sberla:
"Allora adesso sfondo la porta e ti fracasso la testa nel cesso!"
Il bambino è rannicchiato in un angolo. Tra la ceramica bianca. Un bianco sporco, che non riflette.
Lontano dalla porta.
Lontano dallo specchio.




VITA SPANATA


Pioveva, la sera che son morto. Ho illuminato l'angolo buio di un vicolo con sprazzi di lucidi conati.
Colava a macchie giallastre tra le crepe dei mattoni, e qualche piantina cercava di vivere a ciuffi, tra le pietre e i miei sputi.
Un gorgoglìo di tombino a rapire la mia essenza...
Il vuoto mi ha accompagnato a casa a braccetto e, stesomi sul letto, mi ha chiesto di aspettare domani.
Ho aspettato tra le lenzuola accartocciate sudate di freddo.
Gli occhi in attesa di posarsi.
Le orecchie in un ronzio pulsante respiro.
All'alba ho tranquillizzato i tremori con un sorso al sapor di boccamara.





SPIRITO DI CONTRADDIZIONE


Era mia intenzione mantenere il cuore sempre giovane e allegro: fu così che decisi di metterlo sotto spirito.
Lo affogai in sostanze alcoliche.
Ora, quello che successe...
Voglio dire... le cose andarono esattamente al contrario dei miei propositi e, probabilmente per qualche reazione chimica particolare, a contatto con l'alcool, il mio cuore appassì.
Il tubero non divenne fiore.
È così che sono invecchiato.



IL MIO NOME



All'inizio ho avuto difficoltà a sincronizzare il movimento delle braccia, poi l'aria mi è stata amica. Ho aperto le ali all'atmosfera ed ho alzato la testa per sentire il vento sul viso.
Mi nascondo e riappaio tra le nubi, filastrocche di pensieri vaporosi. Scorre alla mia vista la terra girando lentamente lontano.
Voglio scaldarmi al sole, palla di fuoco, accecante potenza.
Voglio illuminarmi nel petto.
Vado.
La sfera spavalda, vibrante nel cielo perduto all'orizzonte, avvolge il mio sguardo e mi riscalda. Sempre più vicino. Sempre più vicino. Il segreto del fuoco si scioglie sulla mia pelle. Sudore di cera mi scorre sulle braccia nude. Un bruciore tremendo alle estremità. Fiamme feroci a lingue schioccanti divampano e fanno strage di piume. Il sangue putrido mi scivola in gola. Si aprono le vene, la pelle si piaga, i capelli carbonizzano e precipito sfrigolando di lacrime.
L'impatto nell'acqua è improvviso. Giù, in fondo nel freddo, il mio corpo bollente.
Ora tremo nel cuore del mare, il buio è il mio regno.
Non sento mio padre che urla il mio nome: Icaro.




INTEMPERIE


Le parole cadevano pesanti e nere sul bianco come il bianco cadeva sul nero e la neve copriva di fiocchi l'asfalto.
Le parole colpivano pesanti il foglio, le note di pianoforte grandinavano nel cervello e tutto si tramutava in storia.
Anche la pioggia sulle mie palpebre stanche.
Guardai per un attimo la pioggerellina che grigia appannava i vetri ed abbassai le serrande perchè gli altri non fossero infastiditi dalla scura notte della mia camera.
Umida.





SETE



Ero stanco di avere incubi notturni.
Escogitai un rimedio: misi il cervello a mollo in un bicchiere, prima del sonno. Funzionava. Niente visioni, o allucinazioni. La mattina metodicamente lo reinserivo nella cavità.
Tutto andò bene fino a che, un mattino, svegliandomi, non trovai che il bicchiere vuoto.
Mi diressi in cucina e chiesi ai familiari:
"Chi si è bevuto il mio cervello?"
Poi in un lampo mi tuonò il ricordo di essermi svegliato con una gran sete, la notte.






SAVESCREEN


Le parole cadevano pesanti e nere sul bianco Seduto. Il riverbero bianco dello schermo scava angoli bui sul mio viso. Il computer respira in un russare lieve di movimenti d'aria. Il programma di scrittura sembra puntare la propria lampada da interrogatorio dritta nei miei occhi. A chiedere ancora una parola, ancora qualche lettera.
Niente.
Riflessioni ad ombre nebulose si adagiano sul ronzìo sospirato della macchina e chiedono una pausa... I gomiti poggiano sul tavolo in attesa di un'idea, mentre pare che anche la massa cerebrale si adagi molliccia sull'incavo del cranio, come a voler recuperare le forze. Il grigio labirinto di pensieri si scioglie in liquido e gocciola negli interstizi del teschio, tra la carne e le ossa. Scivola su nervature, cartilagini e muscoli. Scivola in gola in un sapore amaro di piombatura per denti. Come fumo pesante di fuliggine si irradia respirato nei bronchi arrivando pastoso dalla trachea e dilata la cassa toracica generando calore. D'improvviso è buio. Su uno sfondo nero la macchina fa partire intrecci floreali. Diramazioni vegetali nel mio corpo. Vene ed arterie si riempiono di materia cerebrale densa. Procedendo all'interno dei tubicini naturali. Rami di albero ad incrinare il chiarore vitreo del cielo. Nel rosso buio della mia carne questo grigio che dilaga. Fuoriesce, come muco caldo e vischioso percorre lentamente l'esofago, invade le budella, le riempie. Ho dei crampi. Con una smorfia mi riscuoto e muovo una mano. Il mouse si sposta.

Blik!

Di nuovo, la schermata bianca della pagina accesa mi guarda senza troppa simpatia.
Ma ho già cominciato a muovere le dita sulla tastiera, sorridendo.







PENSIERI


Il ragazzo, entrato in camera, chiuse la porta dietro di sè. Accese la luce. La porta bianca, liscia: un rettangolo chiaro alle sue spalle. Inquadrò il letto con lo sguardo e si avvicinò trascinando le pantofole sul pavimento. Si lasciò andare sulle lenzuola e lungamente sbuffò, fissando la radio. Scelse una cassetta dalla pila silenziosa alla sua sinistra. La estrasse dalla custodia in bianco e nero e la inserì nello spazio vuoto del registratore. Raccolse le cuffiette accasciate sulla radio cercando di non tendere il filo. Spense la luce. Gli girava la testa, ma riuscì ad allungare il braccio e a premere un tasto.
Partì una musica lenta, dolce di bassi e ripetizioni pacate. Con gli occhi chiusi seguì le note nella loro serpentina lenta e sinuosa. La pelle trasmise un segnale al cervello. Il petto si tese lentamente per espandersi. C'era spazio in quella camera, e la musica dissolse anche le pareti.
Uno spazio enorme, senza coordinate, senza pianeti. La melodia crebbe, poi iniziò a slittare. Pneumatico e palude, germogli di grano nel freddo di brina e gocce d'acqua stillate dal muschio. Ranocchie, immersioni di luce nell'iride profondo del sole. Un gran caldo di afa feroce si copre di nuvola grigia silente. Lucertole nere sui muri e le crepe nell'edera ridono con denti di fango e la lingua rossa di fuoco e di morbida carne nel cuore trafitta di sangue e tristezza, morte e ricordi. La luna nel bosco mi guarda dal gufo impietrito che apre le ali e gli artigli e mostra le ossa e solo le ossa e nient'altro di più nient'altro di più e nient'altro di più di più e di più e di più e di più e di più
No, nient'altro di più e si muove e sorride e una lacrima scende poi nient'altro di più e di più
No, nient'altro di più nel gonfiore di questa bolla di grassi pensieri, ricordi odoranti di spazi di uccelli di strane marmitte fumanti che specchiano in acqua contrita di sporche pozzanghere
e nient'altro e nient'altro e nient'altro nel grigio
nient'altro nient'altro nient'altro nel nero
e nient'altro nient'altro nient'altro

"Hai bevuto di nuovo, eh?"
Il sole. La luce.
Il ragazzo cercò di aprire gli occhi a quella voce trafitta di luce, tagliente nelle pupille, e scorse, nel giallo mordente della camera, una figura di donna nella chiarezza della porta.
Liberò le orecchie dalle cuffiette

"Hai bevuto ancora?"
Il ragazzo cercò di capire nel ronzio della stanza illuminata e sentì di nuovo una costante ripetizione che non era più musica

"Hai bevuto ancora?"
Tantomeno era canto.

"..."
Allora il ragazzo rispose:
"No, no, io penso proprio così."













Alcune opinioni sui suoi scritti



"L'ANGELO CURIOSO / IMPERFETTO SILENZIO"
(ed. NOUBS 1997)

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E' la prima pubblicazione in volume di Mauro Smocovich. Si tratta dell'edizione, dall'impaginazione un po' insolita rispetto al libro classico, di due raccolte di racconti che si incontrano all'interno del volume per mezzo di un racconto che si sviluppa a spirale. La raccolta "L'Angelo Curioso" e' piu' legata alla tradizione della letteratura di genere (dalla fantascienza al noir, dal cyber al metapoliziesco). La raccolta "Imperfetto Silenzio" gioca con le emozioni e le sensazioni sul filo di una scrittura e di una ricerca linguistica che cercano di ricreare gli stati d'animo e l'inafferrabilita' del pensiero. La raccolta parte dal presupposto che, nell'ambito della comunicazione, la scelta di non comunicare trova un suo limite nella costrizione di dover esplicitare questa intenzione assumendo cosi' la forma di atto di comunicazione e dal fatto che l'intenzione comunicativa, in ogni caso, non riesce a superare totalmente l'incomunicabilita' a causa della limitatezza delle espressioni umane. Tenta pertanto di tracciare un percorso attraverso, appunto, la comunicazione dell'incomunicabilita' e l'incomunicabilita' della comunicazione. Cerca di usare un linguaggio che accosti e a volte integri i cinque sensi, nell'intenzione di trasmettere le sensazioni confuse dei protagonisti o di percezione distorta della presunta realta'. Le fotografie in copertina, che richiamano perfettamente l'atmosfera misteriosa e cupa del volume, sono di Paolo Dell'Elce e Attilio Gavini, artisti fotografi noti a livello nazionale. I disegni all'interno del volume sono di Mauro Smocovich. Le prefazioni sono di Carlo Lucarelli.

"L'ANGELO CURIOSO -IMPERFETTO SILENZIO"
Mauro Smocovich
Edizioni Noubs, 1997
Lire 12.000


foto di Attilio Gavini

PREFAZIONE DI CARLO LUCARELLI
a "L'ANGELO CURIOSO" di Mauro Smocovich

Chi non conosce la letteratura di genere e' portato a pensare che sia una strada stretta, dai confini ben definiti e invalicabili come il guard rail di cemento di un'autostrada. In realta' i confini del genere, che siano le atmosfere cupe del noir o le visioni futuriste della fantascienza, sono virtuali e impalpabili come le mura di un ologramma e non chiedono altro che di essere violate e perforate da spiriti curiosi.
Molti dei racconti de "L'Angelo Curioso", infatti, potrebbero essere classificati come racconti di genere. Dalla lucida follia da serial killer di "Irritazioni", al metapoliziesco di "Breve racconto", alle visioni cyber di "Quando c'e' l'amore...", fino alla fantascienza classica delle astronavi galattiche di "Agnus Dei"... i generi ci sono tutti. Ma come Angeli curiosi, i racconti di Mauro Smocovich volano via, scivolano tra le convenzioni narrative e mutano, si trasformano come embrioni investiti dalle radiazioni nucleari e diventano un'altra cosa, che sta a meta' tra Scerbanenco e Lovecraft.
Diventano brevi frammenti di storie con interi universi nascosti tra le righe. Mondi sconosciuti ancora da immaginare, meta' oscure che soltanto un angelo curioso come un angelo ribelle puo' permettersi di sorvolare.

CARLO LUCARELLI


foto di Paolo Dell'Elce

PREFAZIONE di CARLO LUCARELLI
a "IMPERFETTO SILENZIO" di Mauro Smocovich

"Non si puo' dire tutto in un racconto".
E' la frase finale di un racconto di Mauro Smocovich, una parte della quale ne costituisce anche il titolo e, secondo me, dice molto del suo stile e del taglio di "Imperfetto Silenzio". Perche' quello che accomuna tutti i frammenti di questa raccolta di racconti e' proprio questo silenzio carico di significato, gonfio di suoni che ronzano in sordina tra una frase e l'altra, brevissima, spezzata, come lasciata a meta' perche' il resto sia da immaginare. Un silenzio come quello che si sente quando ci si tappa le orecchie con le mani e il silenzio non e' piu' silenzio e basta, ma un silenzio in cui rimbombano cose nascoste, echi di pensieri che vengono da dentro la testa e non da fuori. Un silenzio imperfetto, appunto.
Le cose che appaiono tra le frasi dei racconti sono ombre e luci. Ombre cupe di "incubi e succubi", di cadaveri di sogni, di angosce nere in agguato, pronte ad aggredire nei momenti di maggiore vulnerabilita', al risveglio dal sonno, per esempio, sull'orlo di una scogliera, di notte. Le luci, invece, sono quelle dell'ironia, del colpo di scena finale che illumina le ombre col lampo di un sorriso cattivo ma forte, a meta' tra Kafka e Buzzati.
A dimostrazione che non dire tutto, in un racconto, a volte significa dire molto e forse di piu'.

CARLO LUCARELLI




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RECENSIONE di SILVERIO NOVELLI su "AVVENIMENTI" - 18 febbraio 1998

Carlo Lucarelli, gloria patria della letteratura noir, presentando questa raccolta di microracconti di Smocovich parla di "embrioni investiti dalle radiazioni nucleari" che, geneticamente ascrivibili a questo o a quel genere letterario di partenza, si trasformano - si deformano, verrebbe da dire (e l'immagine espressionista esposta in seconda di copertina autorizza l'uso di questo verbo) - , diventando altra cosa: ibridi, ibride scritture, cioe', che mescolano, confondono, riplasmano (depistando) noir e fantascienza, giallo e grottesco surreale, talvolta nel corpo stesso della singola narrazione, altre volte nella giustapposizione conflittiva tra frammenti compiuti, che prendono anche la forma e la sostanza di grafismi à la Apollinaire o del gioco di parole letteralizzato (come in Spirito di contraddizione: "Era mia intenzione mantenere il cuore sempre giovane e allegro: fu cosi' che decisi di metterlo sotto spirito. Lo affogai in sostanze alcoliche. Ora, quello che successe... Voglio dire... le cose andarono esattamente al contrario dei miei propositi e, probabilmente per qualche reazione chimica particolare, a contatto con l'alcool, il mio cuore appassi'. Il tubero non divenne fiore. E' cosi' che sono invecchiato."). Libro da percorrere di volata dall'inizio alla fine e dalla fine all'inizio, bifronte e palindromico (anche l'impaginazione congiura a questo risultato, vederlo per credere), pescando qua e la' la suggestione riuscita, lo scatto beffardo e spiazzante, l'invenzione non ovvia: doni di cui l'autore e' prodigo, anche se talvolta il manierismo e' in agguato.

(Silverio Novelli)





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RECENSIONE di FILIPPO LA PORTA su "MUSICA!" de "LA REPUBBLICA" 22 ottobre 1998

Mauro Smocovich ed è già' post-pulp

Probabilmente Carlo Lucarelli, entusiasta prefatore di queste due raccolte di mini-racconti, esagera a parlare di Kafka, pero' l'esordiente Mauro Smocovich ci comunica quasi sempre un sentimento di divertito o angoscioso spaesamento. "Ma io non mi chiamo Massimo": cosi' leggiamo in uno di questi frammenti narrativi o prose poetiche, in cui non si sa bene se alla radio sta cantando Battisti o Battiato o Bennato. Smocovich gioca inventivamente con la lingua e deforma le parole (e la grafica stessa), costeggiando alcuni generi di massa, tra fantascienza, horror e pulp. A volte i suoi eccessi metaforici risultano un po' facili ("il cielo si apri' come ferita in cancrena"). La nostra nuova narrativa e' pero' cosi' avara di veri sperimentatori che attendiamo con curiosita' ulteriori prove di Smocovich.

F.L.P.


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FILIPPO LA PORTA in "NARRATORI DI UN SUD DISPERSO" edito da "l'Ancora del Mediterraneo" febbraio 2000

E poi, molteplici sono i nomi di autori del Sud che hanno gia' pubblicato vari libri (...) o anche semplici esordienti, spesso un po' trascurati dalla grande editoria (...). Vorrei poi segnalare (...), e ancora l'abruzzese Mauro Smocovich, il piceno Angelo Ferracuti (ma a questa latitudine estrema, anche considerando la dilatazione geografica del Sud, dobbiamo fermarci...).
Si tratta, come si vede, di un fenomeno in larga parte sommerso, che andrebbe documentato con pazienza e in modo capillare, e che spesso si esprime rapsodicamente attraverso riviste, piccole antologie, editori locali. Resta comunque l'impressione di una sorprendente vitalita' letteraria (...).










Articoli



THE EATERS - "HO UN AMICO PER CENA"
la cultura del cannibalismo - morsi e rimorsi dell'essere umano poco serio e molto seriale

di Mauro Smocovich

Un fumetto che sbeffeggia i miti dell'america attraverso il punto di vista di una famiglia modello americana che ha una strana particolarità, pratica il cannibalismo. Si tratta di THE EATERS (mangiatori), che mostra il nuovo limite del fine umorismo nero inglese. L'autore è Peter Milligan e il disegnatore è Dean Ormston (è sua la recente versione a fumetti del film Il Corvo 2). Spingersi oltre senza cadere nel cattivo gusto e criticare più ferocemente la società americana senza farsene accorgere, sembra un'ardua impresa: Adam Quill, moglie, figlia e figlio, tutti mangiatori, sì, ma di carne umana. La figlia, Cassandra, ha delle incertezze, si innamora di ragazzotti stupidi e molto muscolosi ed irrita spesso la famiglia affamata che non comprende il suo attaccamento morboso a quei corpi maschili, quando in casa non c'è nulla da mangiare. Un giorno, la cena bussa alla loro porta: è Marion McCoy della Apple Pie Inc., venditore di torta di mele (simbolo di un'america costruita sui valori della famiglia, dell'unione fa la forza, arrivano i nostri, all together now) che li premia migliore famiglia americana 1995. Poi scompare sezionato nella loro cucina. Il socio Hal Blind sospetta qualcosa e indaga presso la famiglia, pranza con loro, trova l'anello del socio, poi s'allontana. Cassandra osserva: "Avremmo potuto colpirlo in testa: lo abbiamo fatto con Mr. McCoy." Ed il padre sull'orlo di un infarto: "Hai perso il controllo? Si trattava solo della cena... Non siamo come quegli sporchi assassini là fuori che stanno trascinando la stima del nostro paese nelle fogne." I Quill decidono di andare a trovare Shay Chesterton con il loro Camper. Shay è stato compagno di sventura dei due genitori, diciotto anni prima, quando, durante una corsa di beneficienza con la mongolfiera, precipitarono. Di 12 persone, rimasero solo tre superstiti: Shay, Adam e la moglie e, tratti in salvo, anche senza provviste, pesavano più di quando erano partiti. Gnam Gnam. Ora Shay è il Sindaco di San Diego ed è in piena campagna elettorale. Una situazione molto delicata. Blind (il socio Apple-pie) segue i Quill, anche lui ha i suoi vizi: si spalma il corpo nudo con il ripieno della torta di mele (apple pie filling), corrompe gli agenti con delle crostatine. I Quill arrivano a Hopesville e scoprono solo degrado e sporcizia. "Bè non è giusto... Siamo il motore e il granaio del mondo e la gente chiede l'elemosina e muore di fame." Così Adam stermina una famiglia di americani per sfamare i vagabondi del quartiere. "Vedi, mentre la maggior parte delle nazioni sono basate su una lingua, una cultura, una religione e una disposizione geografica comune, gli USA sono diversi... L'america è fondata su un'idea... È tutto quello che abbiamo..." In seguito Adam sventa una rapina. Intervistato dirà: "Abbiamo parlato di quanto ha da offrire questo paese alimentarmente. Hanno masticato un po' ed hanno deciso di cambiare le loro abitudini." Cassandra si innamora, ma stavolta decide di spiegare tutto al suo ragazzo muscoloso: "Credi al paradiso? Bene, noi aiutiamo la gente ad arrivarci prima." "È ridicolo, lo potrebbe dire qualsiasi assassino." "Non siamo assassini. Le anime continuano a vivere e... ti sentivi bene a mangiare con noi, no? ...Bè, Dio ti permetterebbe di sentirti meglio dopo aver fatto qualcosa di sbagliato?" e lo converte (mi diverte la fantasia che hanno gli americani nell'elaborare a loro piacimento l'eventuale presenza di un dio). Tutto capitolerà quando Shay, il sindaco, spaventato dal passato che riaffiora e dalla presenza dei Quill in città, ricorrerà al suo uomo di fiducia: "Non posso candidarmi con lo slogan: "una volta ero cannibale ma ora mi sono pentito". Così, mentre i Quill sono raggiunti al camper dal socio Apple pie, impazzito per aver assaggiato il collega alla tavola dei Quill e per provare fame di quel tipo di carne, gli uomini del sindaco crivellano di proiettili l'intera casa viaggiante (la politica prima di tutto), ponendo la parola fine alla storia. Solo Cassandra si salverà. Facendo l'autostop, salirà sulla macchina di un ragazzo, convertita alla cucina vegetariana: "Mi sto laureando in fisica." le dice il ragazzo. E lei: "Vuoi dire che sei abbastanza intelligente?" "... Ti causa problemi?" Cassandra ci pensa un po' sù, poi si converte anche all'intelligenza: "No. Nessun problema." FINE

QUATTRO CHIACCHIERE SUL CANNIBALISMO e due sui serial-killer:
Dice Adam Quill, capofamiglia dei "The Eaters", ad un certo punto della storia: "I puritani erano dei mangiatori. La parola Puritano è la corruzione di un'antica parola aramaica che vuol dire "nutrirsi sui fianchi del tuo servo" ed è ben noto che anche i cristiani erano dei mangiatori...Cos'è l'Eucarestia se non una recita rituale di una vera cena? Tutto quel parlare di sangue e carne... chi vogliono prendere in giro? Ovviamente col passare del tempo, la verità viene alterata e la finzione prende il posto dei fatti". E scrive Brian Masters, famoso biografo, nel suo libro Jeffrey Dahmer - la vera storia del mostro di Milwaukee, "Quando parliamo di cannibalismo, occorre ricordare che stiamo parlando di un'attività umana, una delle pratiche antichissime dell'uomo che la civiltà è riuscita a sradicare. Descrivere un uomo che mangia gli uomini come "bestiale" o "inumano" è dire l'esatto contrario della verità, perchè ben poche altre specie vi si sono dedicate per tanto tempo o altrettanto sistematicamente". Esiste uno stimolo primordiale che alberga nascosto nel cuore della psiche umana ed è dimostrato dai giochi infantili. I genitori non trovano nulla di strano se i loro piccoli sorridono affettuosi in risposta a frasi come "Ti mangiooo!". Si rendono conto che le nozioni di mangiare e amare nel bambino sono strettamente legate. È la prima fase "orale" della sessualità. Questa fase neonatale non è mai completamente dimenticata, ma passa nella vita adulta sotto forma di frasi affettuose ("Vorrei mangiarti per quanto sei bello/a" ecc.), e in pratiche sessuali come i succhiotti, i morsi o il sesso orale. Nelle società civilizzate il cannibalismo è vietato da un forte tabù. Ma non è stato così in passato, e ancora non è così in alcune società diverse dalla nostra. I Basuto estraevano il cuore dei nemici uccisi e lo mangiavano immediatamente per ereditarne il coraggio. Alcune tribù di tagliatori di teste mangiano o succhiano il cervello. Jeffrey Dahmer, il cannibale di Milwaukee, si lasciò sfuggire: "Forse sono nato troppo tardi, forse sono azteco". Marino Niola in un articolo su L'Unità a proposito del libro Mindhunter di John Douglas (cacciatore di serial killer), scrive: "Figurazione esemplare del mostro, il serial killer occupa nell'immaginario contemporaneo una posizione estrema. ...di intelligenza superiore alla media, narcisista, inguaribilmente malato di protagonismo... Il serial killer è tutto questo. Ma soprattutto, egli è cannibale... È interessante notare però come esso riaffiori periodicamente nella nostra cultura soprattutto in momenti... di smarrimento epocale, quando più forte si fa il bisogno di serrare le fila dell'identità individuale e collettiva e più urgente è la necessità di separare noi dagli altri, il bene dal male... i mostri diventano necessari per custodire l'esterno dei confini del noi... e nessun mostro è più mostro di un cannibale...". Molti serial killer vagano per l'america, ma anche nella ex-unione sovietica (sono state scoperte intere famiglie povere e cannibali per sopravvivenza; per non dimenticare Chikatilo, il mostro di Rostov). Peccato che lo stesso John Douglas si schiera a difesa del popolo americano (quello "buono") e, gonfiato dagli stessi miti americani, alla fine di uno dei capitoli del libro precisa: "Ho ribadito spesso ai miei aiutanti che dovremmo ispirarci al Cavaliere solitario, il quale, dopo aver collaborato con la giustizia, si allontana in silenzio" ed è favorevole alla pena di morte nei riguardi di questi mostri dimenticando che, facendoli fuori tutti, verrebbero a mancargli proprio gli elementi per studiare approfonditamente questa tendenza sociale e per scrivere best-seller. Eliminare le prove di un imbarbarimento della società non aiuterebbe a capirne le motivazioni. Si tratterebbe di una rimozione totale di questo fastidioso fenomeno. Fa orrore affrontarlo, allora lo si mitizza. Così molti di noi provano orrore, ma molti altri hanno provato simpatia per l'Hannibal Lecter, il cannibale creato dalla penna di Thomas Harris, qui descritto con le parole di Laura Grimaldi in "Il giallo e il nero scrivere suspense": "Profondamente, irritabilmente crudele, ma anche geniale, accorto... quando promette che prima o poi si vendicherà del direttore del manicomio, ci si sorprende a sperare che il Cannibale raggiunga il suo scopo." La versione cinematografica del romanzo va anche oltre, e quante saranno state le persone che non hanno sorriso di soddisfazione quando, nella scena finale, il dottor Lecter dice: "Ora devo andare, ho un amico per cena". L'amico è l'odioso e stupido direttore del manicomio e il sottinteso è che verrà divorato. In quel momento facciamo del cannibale un anti-eroe. Ma chi si ricorda la scena di sangue in cui Lecter strappa a morsi la faccia di una delle guardie? È lì che si prova orrore, quando ci viene sbattuta a morsi in faccia la realtà su simili comportamenti. Incosciamente e potenzialmente portati alla filosofia del cannibalismo, ci crogioliamo idealmente al pensiero di poter inglobare l'altro/a per amore, per acquisirne le doti, per possesso, per potere, per completezza, ma solo quando ci rendiamo conto di quel che vuol dire strappare la pelle e la carne di un essere umano, proviamo orrore.
E a proposito dell'orrore, scrive James Alexander nel suo On the Affect of Horror, in Bulletin of Philadelphia Association of Psychoanalysis, (1972):
"L'orrore è un affetto strettamente collegato all'angoscia... L'affetto dell'orrore viene suscitato da qualcosa di pericolosamente minaccioso per la persona, ma che pare anche essere intriso delle qualità solenni, misteriose e spettrali che pertengono alla sfera di ciò che è strano, perturbante, inspiegabile, avvolto nel mistero. La crudeltà disumana, l'assenza disumana di qualunque sentimento di solidarietà e di compassione, l'incapacità totale di identificarsi in modo simpatetico con qualcuno, sono le qualità caratteristiche che suscitano l'affetto dell'orrore. I lupi mannari, i mostri alla Frankenstein, i vampiri e le streghe [o, come Stephen King divide le basi della letteratura dell'orrore (in Danse macabre 1981): Il Vampiro (Dracula), Il Licantropo (Dottor Jekyll e Mr. Hyde), La Cosa Senza Nome (Frankenstein) ed Il Fantasma (Il Giro di Vite) n.d.r.], sono proiezioni nel mondo esterno di fantasie sadiche generatrici di senso di colpa che prendono la forma di un mito."
Allora, cannibale e serial-killer sono miti del XX secolo.
Così come nel secolo scorso proliferava tanta letteratura di fantasmi, mostri e vampiri, oggi il cannibale e il serial-killer imperversano nel cinema (Il Silenzio degli Innocenti - Henry, Pioggia di sangue - Seven), nel fumetto (The Eaters - alcune storie di Dylan Dog), nella paraletteratura (La Giusta Causa - Drago Rosso), nella musica (1. Outside di David Bowie), nella saggistica (Mindhunter di John Douglas - I Serial Killers di Marina Garbesi), nel giornalismo di cronaca (Jeffrey Dahmer - Chikatilo).
Eccesso del fantasma: lo spirito maligno della società cerca pace e vendetta.
Eccesso della Cosa Senza Nome: la follia di voler ricomporre l'uomo non attraverso la ricostruzione di un corpo mediante l'assemblamento di pezzi di carne, ma direttamente attraverso il loro ingerimento; un nuovo prometeo che cerca di possedere il segreto della vita annientando quella degli altri e seguendo una oscura trama che giustificherebbe una serie di delitti come tessere di un mosaico.
Eccesso del licantropismo: l'uomo mostra il suo lato oscuro, il bene e il male, il tranquillo cittadino si rivela folle omicida.
Eccesso del vampirismo: oltre il sangue, la carne. Dopo esser penetrati nella carne, i denti si stringono a morsa e la strappano.
E noi abbiamo dunque orrore delle nostre stesse inconsce fantasie sadiche e ne proviamo senso di colpa, riflettiamo questo nostro essere in miti dell'orrore e ci gratifichiamo seguendone inorriditi, ma in qualche modo compiaciuti, le gesta immonde... scusate, ma... "Ora devo andare, ho un amico per cena"...

Peter Milligan e Dean Ormston - THE EATERS (part I e II) - in Il Corvo presenta n. 15 e 16 - General Press e Magic Press - Lit. 3.500 cadauno.




PAUL AUSTER'S CITY OF GLASS, È UN CASO CHE QUI SI PARLI DEL CASO
quando il fumetto e' uno dei casi della letteratura


di Smocovich Mauro


Si chiama Città di vetro di Paul Auster, non è il suo vero nome. Questa pubblicazione a fumetti è già l'espressione di uno dei casi possibili del romanzo Paul Auster's City of glass, volume primo della The New York Trilogy, della quale fanno parte anche Ghosts vol. 2 e The Locked Room vol. 3. Questa di cui, guarda il caso, vi parlerò non è la versione originale, non è propriamente lui, il romanzo, ma è uno dei suoi segni, è la sua trasposizione a fumetti, nella sceneggiatura e l'adattamento (con Karasik) di David Mazzucchelli, nel disegno di Mazzucchelli (famoso per Dare Devil Born Again, Batman year one su testi di Frank Miller), nella traduzione di Carlo Oliva, e nell'ideazione di Art Spiegelman (premio Pulitzer per Maus). Dice Quinn, il protagonista: "Nei gialli non c'è una frase, una parola che non abbia il suo significato. E anche se non lo ha, ne ha comunque il potenziale." L'indagine, che Quinn dovrà svolgere in questa storia, consiste nel pedinare un certo Peter Stillman che, uscito dal carcere dopo 13 anni, potrebbe aver intenzione di uccidere il figlio, di nome Peter Stillman anch'egli. Ma è un giallo, questa Città di vetro? Rispetto al giallo classico (analisi e deduzione), si può parlare di anarchia del giallo, è il dominio del Caso. Se nel romanzo La Promessa-Requiem per un romanzo giallo di Durrenmatt, l'autore scardinava l'impianto del romanzo poliziesco e mandava in frantumi la mente deduttiva del commissario-protagonista mediante l'intervento del Caso, nella Città di vetro il Caso appare sin dall'inizio e perseguita tutta la trama ("Molto più tardi avrebbe concluso che niente era reale... tranne il Caso"). Possiamo dire che il vero protagonista sia lui. Il Caso, dal latino (casus=caduta), traduzione dal greco (ptosis=caduta). Termine derivato forse dalla metafora dei numeri casuali che possono uscire facendo cadere dei dadi. In greco Ptosis (caduta) era tradotto anche con soggetto. Il soggetto è l'esempio massimo del caso, perchè l'attenzione alle proposizioni assertorie portava a considerare il soggetto come il caso per eccellenza. Non esiste definizione semiotica del soggetto senza la sua relazione con l'oggetto, e inversamente. In altre parole, il soggetto non esiste finchè non ha relazioni con gli oggetti la cui scelta è affidata al caso. Il caso deriva dalla limitatezza della conoscenza dell'uomo. Ciò che si ignora sfugge al controllo ed è caso. Un evento è casuale quando il suo risultato può dare luogo a diverse alternative senza che sia possibile prevederle. Frutti del caso sono quegli effetti di un'azione che non erano nè previsti nè necessari per il compimento del fine dell'azione stessa. Quindi caso come varie ipotesi di accadimento non più controllabili.
Caso come caso ablativo, caso accusativo, caso dativo, ovvero le varie applicazioni con il linguaggio che possono avere i soggetti, soggetti intesi come elementi che compiono un'azione.
Caso come soggetto, ovvero il soggetto trovandosi a poter essere applicato in questa varietà di possibilità eè la massima espressione del caso. Ovvero potenzialmnete racchiude in sè tutte le possibili scelte e variazioni che si possono fare e cambiare.
Caso, con la maiuscola inteso come Fato, ovvero destino, non potendo più controllare le possibilità di scelta si lascia perdere la teoria delle possibilità che essendo infinite non possono essere più controllate e ci si affida a questa roulette, a questo gioco, una dea bendata che sceglie per noi, quindi una deresponsabilizzazione dalle proprie scelte con un abbandono.
Caso infine può anche riallacciarsi quindi al Ptosis CADUTA, ovvero una spiegazione un po' più religiosa, se vogliamo se ci colleghiamo alla caduta dell'essere umano dal paradiso e quindi contemporaneamente, nell'accezione più linguistica, la sua scissione dal linguaggio, e la scissione degli oggetti dalle parole che li caratterizzano. ed il loro significato.
E, nella storia della Città di vetro, "tutto cominciò con un numero sbagliato..." (un numero di telefono fatto per caso...)
IL LUOGO: una New York che è il nessun luogo che Quinn si è costruito intorno. Dice Quinn "ovunque non sono, è il luogo dove sono me stesso", da Baudelaire "il me semble que je serais toujours bien là où je ne suis pas". Una New York nella quale i volti delle persone si confondono.
IL PERSONAGGIO: una triade di personalità in ognuna delle quali il protagonista non si ritrova, non si sente e/o non è sè stesso. Quinn (il protagonista, scrittore di romanzi gialli), Wilson (lo pseudonimo usato da Quinn per scrivere), e Work (il personaggio detective dei libri di Quinn\Wilson). Una triade che accetta di svolgere il ruolo di una quarta personalità: l'Auster/investigatore.
L'AVVENIMENTO: un numero di telefono sbagliato. Qualcuno che telefona di notte a Quinn cercando l'investigatore Paul Auster. Dopo diversi tentativi, Quinn accetterà di farsi passare per questo Auster (incontrerà poi nella storia il vero Paul Auster, unico esistente nell'elenco telefonico, di mestiere scrittore, con una famiglia uguale a quella che lui invece ha perso, un alter-ego? forse, ma non è l'Auster narratore della storia perchè questi interverrà alla fine). Sempre più chiaro,eh? In questo romanzo nessuno è sè stesso, tutti sono qualcun altro o, meglio, una delle proprie espressioni. Una delle varie espressioni che ci danno gli altri (Uno, nessuno e centomila di Pirandello) o uno dei vari contenuti che abbiamo dentro di noi (Una sola moltitudine di Pessoa). Per farla breve, Quinn accetterà il caso propostogli da Peter Stillman figlio (Mi chiamo Peter Stillman, non è il mio vero nome), accetterà di essere Paul Auster investigatore ("E lo scopo per cui fingeva di essere Paul Auster lo esentava dalla necessità di difendere la sua menzogna") Durante le indagini, tutto deriverà dal Caso ("qualsiasi cosa Quinn avesse fatto sarebbe stato necessariamente uno sbaglio, un arrendersi al Caso") Peter Stillman ha un figlio di nome Peter Stillman. Stillman padre scrive un libro (Il giardino e la torre) una nuova interpretazione del Peccato originale basata sul Paradiso perduto di Milton nella quale teorizza un recupero del linguaggio divino, il linguaggio dell'innocenza. Dopo la morte della moglie, impazzisce e rinchiude il figlio (di due anni) in una stanza per fargli recuperare questo linguaggio. E' il 1960. Stillman figlio rimane lì per nove anni. Una sera, forse perchè Stillman padre tenta di bruciare le sue carte riconoscendo di avere fallito, scoppia un incendio. I pompieri scoprono e salvano il figlio. Il padre viene riconosciuto infermo di mente e rinchiuso per 13 anni. Il figlio viene ricoverato 11 anni in un ospedale dove, aiutato da una terapista della parola, recupera l'articolazione del linguaggio, la sposa ed esce. P.S. padre manda una lettera di minaccia al figlio. Dopo aver scontato la pena, Peter Stillman padre esce di prigione. Il figlio e la moglie del figlio telefonano a Paul Auster investigatore per impedire al padre di ucciderlo. L'unico Paul Auster che esiste a New York è uno scrittore. La telefonata arriva a Daniel Quinn per sbaglio. Questi è uno scrittore solo, non ha più moglie e figlio (non sappiamo se morti o allontanati), che scrive con lo pseudonimo di William Wilson. Scrive gialli il cui protagonista è un investigatore, Max Work. Alla prima telefonata Quinn spiega di non essere Auster, alla seconda non riesce a rispondere in tempo, alla terza, attesa, accetta l'incarico. Il giorno dopo, senza neanche sapere l'indirizzo si reca da P.S. figlio. Questi, a modo suo, gli spiega la situazione, poi la moglie aggiunge chiarimenti, infine Quinn, ora Auster, si reca in biblioteca dove accquisisce ulteriori informazioni sugli scritti di P.S. padre. La moglie di P.S. gli dà un assegno a nome Auster. Quinn acquista un block notes sul quale annoterà, la sera, i primi appunti sul caso. Il giorno dopo Quinn si reca alla stazione, con una vecchia foto dovrà riconoscere e seguire P.S. padre. In cambio di una offerta per lac ausa dei sordomuti un ragazzo gli dà una penna. Nella sala d'attesa Quinn discute con una ragazza di ciò che legge: un libro di William Wilson. Arriva Stillman, Quinn lo inizia a seguire quando ad un tratto sembra che P.S. si sdoppi. Indeciso, Quinn segue il più vecchio e malandato ben sapendo che qualunque scelta avesse fatto avrebbe sbagliato, sarebbe stato un arrendersi al caso. Per due settimane Quinn si apposta di fronte all'albergo nel quale alloggia P.S. padre e lo segue. Prima velocemente, dal quarto giorno in poi allo stesso ritmo del pedinato. Questi raccoglie oggetti dalla strada e prende appunti. Ricostruendo i tragitti Quinn scopre che il seguito sta tracciando uno scritto: The tower of babel. Decide di avvivcinarlo. Lo farà per tre volte ed ogni volta si presenterà con un nome diverso, vestirà una espressione diversa.
1) La prima volta si presenterà come Quinn per non svelare l'identità di investigatore/Auster (per nascondere una identità fittizia si presenterà con l'identità reale) e Stillman gli rivelerà il suo ruolo: dare dei nomi alle cose in pezzi "quando le cose erano integre, le nostre parole potevano esprimerle. Ma le cose sono andate in pezzi e le nostre parole non si sono adeguate". P.S. gli spiega che sta inventando una nuova lingua dando agli oggetti senza nome (ombrelli rotti, teste di bambole etc.) un proprio nome visto che non sono comunque più adatti a portare il precedente nome affidatogli dagli uomini.
2) La seconda volta vestirà i panni di Henry Dark, teorico a cui Stillman padre si rifaceva per la sua teoria e scrittore dell'opuscolo "La nuova Babele", in cui Dark sosteneva si dovesse costruire in America un nuovo Paradiso ("che non era un luogo, ma qualcosa di immanente nell'uomo in sè"); P.S. gli spiega che è impossibile, almeno essere QUELL'Henry Dark, perchè era lui sotto pseudonimo e le iniziali di Henry Dark, H.D. alludono a Humpty Dumpty. Gli spiega poi una teoria sull'uovo citndo anche Humpty Dumpty dell'Alice nel paese delle meraviglie. L'uovo della favola di Alice in Wonderland. "Cos'è l'uovo?"-È Stillman padre che parla-"Non è neanche nato, eppure vive. Tutti gli uomini sono uova, non hanno ancora raggiunto la forma destinata. L'uomo è una creatura della caduta: come Humpty Dumpty". Uovo come incarnazione più pura della condizione umana e della sua caduta. Il problema non è se si può dare ad una parola il significato che si vuole, il problema è chi comanda.
3) La terza volta Quinn/Auster si presenta come Peter Stillman figlio e Stillman padre ne è orgoglioso ("I bambini sono una grande benedizione ..... la più grande dopo la morte. E quando moriamo c'è sempre qualcuno pronto a prendere il nostro posto."). Stillman padre scomparirà l'indomani. Quinn/Auster perderà il caso (l'incarico), scomparirà il cliente, scompariranno i soldi, la casa, l'indagato. Quinn/Auster rimarrà con sè stesso alla ricerca di un linguaggio.
Il giorno dopo si butta da un ponte e Quinn, recatosi in albergo, non lo trova. Avverte il figlio e la moglie del figlio. Poi cerca Auster investigatore per avere il parere di un espertto, trova un solo nome e si reca all'indirizzo riportato. L'Auster che trova si presenta come scrittore. Quinn gli dà l'assegno e gli spiega le cose. Poi Auster parla del lavoro a cui si sta dedicando. In casa Auster, Quinn incontra la moglie e il figlio di Auster e ne soffre perchè gli ricordano i suoi cari perduti. Il figlio di Auster si chiama Daniel come Quinn. Questi fugge via, da quel momento non riceverà più risposte al telefono da parte di P.S. figlio e moglie. Il giorno dopo vagherà per New York poi deciderà di appostarsi davanti alla casa dei due. Passerà un tempo indefinito. Quinn diventa un barbone sempre appostato lì. Verso la metà di agosto decide di alzarsi. Va al parco e dorme. Telefona ad Auster che gli nega i soldi dell'assegno dicendo di non averlo potuto incassare. Torna a casa e vi trova la ragazza della stazione che lo caccia di casa in qualità di nuova inquilina. Quinn va a casa di P.S. figlio e moglie, trova la porta aperta ed entra. Si spoglia e comincia a tenere appunti su qualsiasi impressione. Finito il block notes scomparirà, chiuso in una stanza, nudo, perchè butterà infine tutte le vesti indossate fino ad allora, si ciberà di un cibo che comparirà dal nulla ("il senso che qui si produce... è quello di ciò che tendiamo a considerare "non sensuale" per eccellenza: la mente, il ragionamento razionale. Il processo si supera solo ricompiendosi all'infinito, la morte si vince morendo di nuovo e più rapidamente rinascendo, in un'istantaneità... che concentra il tempo nell'unico spazio della camera". Enrico Ghezzi a proposito del finale di 2001: Odissea nello spazio), scriverà sul suo quaderno con una penna ricevuta da un ragazzo alla stazione in cambio di una offerta per la causa dei sordomuti, per insegnar loro a comunicare, scriverà alla luce naturale, senza ricorrere all'elettricità, scriverà di riflessioni sulle questioni marginali del "caso Stillman" ("Erano tante le cose che stavano sparendo e non era facile seguirle tutte"). E quando finirà il quaderno, le parole non potranno più essere esternate e scomparirà anche Quinn. Implosione del ragionamento. "Le informazioni disponibili si fanno insufficienti"- Interviene un ulteriore personaggio, l'Autore stesso, il vero(?) -"Quanto a Quinn, è impossibile sapere dove sia, ormai. Il quaderno, naturalmente, racconta solo metà della storia". Un'immagine ci presenta il quaderno che brucia, tra gli oggetti a pezzi ai quali Stillman padre voleva dare un nome, forse perchè il fuoco è il principio dell'universo, si trasforma in tutte le cose e tutte le cose tornano a lui. Il soffio vitale che pervade il tutto e che è ragione dell'ordine universale (Logos sta a significare parola, discorso, ragione. Eraclito designa come logos il principio vitale della realtà, il quale è fuoco e ragione insieme). PAUL AUSTER, Il narratore torna dall'Africa, parla con Paul Auster scrittore personaggio ed insieme si recano nella stanzetta dove Quinn ha passato gli ultimi giorni. Trovano il block notes. Il narratore rompe l'amicizia con Paul Auster ritenendo che questi si sia comportato male e ci racconta tutta la storia firmando il racconto Paul Auster's City of Glass.

La fabula non corrisponde all'intreccio perchè ci sono diverse analessi. Tutta la storia è raccontata da un narratore che si attiene al block notes di Quinn. La storia inizia con le telefonate a Quinn. Quinn accetta l'incarico e poi ricostruisce la storia degli Stillman. Prima ascoltando Stillman figlio. Poi la moglie. Poi documentandosi in biblioteca. Pedinerà successivamente Stillman padre e, avvicinandolo ricostruirà altri pezzi del mosaico.

Una storia che vi catturerà, scorrerà ininterrottamente, ma da leggere più di una volta, intensa. Diceva Calvino: I classici sono quelle opere che non smettono mai di dire ciò che hanno da dire. Non so se quest'opera diventerà un classico, ma sicuramente non smetterà mai di parlarvi. Come diceva Hugo Pratt: il fumetto è letteratura per immagini. Può essere buona o cattiva, ma è letteratura. E qui finisce questo mio intervento casuale che per caso ha cercato di dire qualcosa. Il caso deriva dalla limitatezza della conoscenza dell'uomo. Ciò che si ignora sfugge al controllo ed è caso. Sicuramente non ho detto tutto. E sicuramente, ho detto qualche stupidaggine ma, capite, sono soltanto parole. Che avete appena letto forse proprio per caso.

Città di vetro di Paul Auster:
fumetto: I Grandi Tascabili-Gli Squali Bompiani Lit. 15.000
romanzo: Anabasi - Trad. di D. Verzoli Lit. 25.000
nella TRILOGIA DI NEW YORK (Città di vetro - Fantasmi - La stanza chiusa) - Einaudi - settembre 1996 - Lit. 30.000 - trad. di Massimo Bocchiola

IL GIARDINO E LA TORRE:
Nell'Eden non esistono il bene e il male. Adamo ha il compito di inventare il linguaggio, nella sua innocenza la parola rivela l'essenza delle cose, dopo il peccato i nomi si staccano dalle cose. Avviene il Diluvio universale. Dopo 340 anni viene costruita la Torre di Babele per non disperdersi su tutta la superficie della terra. Si contraddice il mandato "andate e moltiplicatevi, popolate la terra". La torre viene distrutta ed avviene una nuova frammentazione del linguaggio. Milton scrive il Paradiso perduto. Henry Dark, personaggio inventato da Peter Stillman per rendere verosimile la teoria, è il segretario di Milton. Milton muore. Dark va in America e scrive La nuova Babele, un opuscolo che sostiene: bisogna ricostruire il nuovo paradiso in America. Bisogna che l'uomo impari il linguaggio di Dio, il linguaggio originario dell'innocenza, per annullare la caduta del linguaggio e quindi dell'uomo. Ubbidendo al comando di Dio di popolare la terra, i coloni inglesi non hanno potuto che spostarsi verso occidente, l'America. Una volta popolato quel continente non ci sarebbe più nessun ostacolo alla costruzione della Nuova Babele. Si potrebbe tornare a parlare un solo linguaggio. 340 anni dopo la Mayflower (1960), come 340 anni dopo il Diluvio, si sarebbe potuta costruire la torre. Nella torre ci sarebbe stata una stanza per ogni persona nella quale, una volta entrati, ci si sarebbe dimenticati di tutto ciò che si sapeva e dopo 40 giorni e notti si sarebbe parlato il linguaggio di Dio.

SAGGIO SUL DON CHISCIOTTE:
La sua teoria è che Don chisciotte abbia organizzato tutti i passaggi del testo. Ha fatto in modo che Sancho Panza raccontasse tutto al barbiere e al curato che hanno scritto la storia. Poi l'hanno tradotta in arabo. Cervantes ha trovato il manoscritto e l'ha fatto ritradurre in spagnolo (da un Don Chisciotte travestito) con l'idea di farla leggere a D.C. per fargli rivivere le proprie avventure ed uscire dalla follia. In realtà l'opera è una polemica contro l'immaginazione. D.C. voleva vedere in che misura gli uomini sono in grado di accettare qualsiasi assurdità purchè siano divertenti.











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