UNA SITUAZIONE IMBARAZZANTE
a E.A. Poe, con la gratitudine che si deve ad un maestro.
di Margaret Collina


        L’avevo sognato molti anni fa. Ricordo di essermi svegliata di soprassalto, grondante di sudore, con il cuore sbandato e la sensazione di essere ritornata non da un sogno terribile, bensì da una dimensione temporale diversa, eppure in qualche modo concreta e reale.


        Sognai- uso per semplicità questo termine improprio- di trovarmi di fronte ad un plotone d’esecuzione. Qualcuno ordinava di fare fuoco, e un proiettile, uno solo, mi colpiva al cuore mortalmente. La cosa inverosimile, ma al tempo stesso realistica come la vita che per trentacinque anni ho condotto su questa terra, fu che io sperimentai sul mio corpo, secondo per secondo, particolare per particolare, tutto ciò che si prova quando un colpo d’arma da fuoco ti brucia e dilania la carne, quando il cuore impazzisce e poi cessa di battere, quando il respiro ti si strozza in gola.


        Come è logico, non avevo mai vissuto niente di simile prima di allora, e non conoscevo nessuno che potesse confermarmi di avere personalmente affrontato un’esperienza uguale a questa. Perciò sarebbe facile smentirmi obiettando che non avevo alcuna prova che le sensazioni avute in sogno fossero coincidenti con la realtà. Ma io sapevo che era così, sapevo che quella era la mia fine, o che un giorno lo sarebbe stata.


        Adesso questo ricordo mi tortura molto più delle macchine che mi tengono in vita artificialmente, degli aghi, delle sonde, dei tubi che mi hanno infilato in ogni fessura del corpo, più del dolore che dovrei provare e che non provo, della paura che non riconosco: più di sapere che sto per morire.


      
Il problema è che non posso fare a meno di confondere e confrontare nella mia mente il pensiero di ciò che mi è accaduto qualche ora fa, con quell’altro orribile ricordo.

        Sono uscita come ogni mattina per recarmi al lavoro, ho attraversato la strada in direzione della fermata dell’autobus e istintivamente ho indugiato davanti alla vetrina dell’oreficeria lì accanto per osservarne il contenuto con distratta ammirazione. A quell’ora il negozio era già aperto e improvvisamente ne sono usciti due individui incappucciati, armati entrambi di un revolver. Ho lanciato un urlo più di sorpresa che di terrore perché non c’era il tempo di rendersi conto di ciò che stava accadendo, ma il mio grido è riuscito purtroppo a spaventare uno dei rapinatori, il quale si è voltato di scatto verso di me ed ha fatto fuoco.

        I pochi secondi che seguirono ricalcarono fedelmente tutto ciò che avevo vissuto nel sogno molti anni prima, e adesso, dopo una folle corsa in ambulanza e un frenetico ricovero in sala di rianimazione, mi trovo qui, in coma irreversibile.

-     Le funzioni vitali sono ridotte al minimo.-

-     A mio avviso non ci sono speranze di recupero-

-     Elettroencefalogramma piatto!-

-     Espiantiamo gli organi al più presto: avete controllato se la signora aveva dato disposizioni in merito? Contattate la famiglia, subito!-

Non capisco come possano commettere un errore simile:

come è possibile che il mio cervello sia morto e io riesca ancora a pensare lucidamente, ascoltare i loro discorsi assurdi, intravedere, dalle palpebre non completamente chiuse, i colori dei camici e le luci delle lampade e degli apparecchi? Come posso sentire le loro mani che mi toccano, m’importunano, mi frugano dappertutto, se sono morta?

-     Dottor Marassi, sono il Maresciallo Argentieri. Abbiamo fatto indagini presso i vicini perché in casa della signora non c’era nessuno: ci hanno riferito che abita sola e che ha sempre affermato di essere rimasta vedova molto giovane, senza alcun famigliare. In questo momento non è possibile rintracciare nemmeno qualche parente alla lontana…-

-     Dottor Marassi, scusi maresciallo se l’interrompo, abbiamo trovato nella borsetta della signora la tesserina per la scelta sulla donazione degli organi.-

-     Grazie Agnese, dai a me. Oh accidenti, ha barrato la casella NO! Una donna ancora giovane, in perfetta salute: avremmo potuto recuperare reni, fegato e cornee. Non è giusto, merda!-


Invece sì, caro dottor Marassi, caro maresciallo “non so cosa”, ho barrato quella casella perché con la vita e con la morte non si gioca come con un caleidoscopio: si scuote un po’ il cilindro, i pezzetti di cristallo si dispongono in un modo diverso e ogni volta ne risulta un disegno nuovo, un’immagine imprevedibile.

E poi non mi piaceva l’idea di vivere con addosso il respiro di una specie di sciacallo legalizzato che attende pazientemente la tua fine accidentale per poterti  squartare e distribuire un po’ qua e un po’ là.

-     Allora non c’è più niente da fare, dottore?-

Sembra disperata la povera infermiera.

-     Non credo, purtroppo. Dottor Salvi scriva: decesso avvenuto alle ore 11 e 27 del 16 maggio 2004. Noi qui abbiamo finito. Ragazzi, staccate tutto e fate portare via la salma.-

No, un momento, per favore, cosa vuol dire: portate via la salma? Io non sono morta! Vi sento, vi posso anche vedere un po’, e ragiono meglio di voi. Dio mio, non è possibile un errore così orrendo! Perché non mi posso muovere? Perché non riesco a urlare? Aspettate almeno un attimo, adesso che avete staccato le macchine mi riprenderò: accade spessissimo. Vi supplico, guardatemi, forse vi renderete conto che sono viva.

E adesso cosa succede? Non c’è più nessuno? Cos’è questa carezza gelata e questa oscurità improvvisa? Ah sì, ora capisco: il lenzuolo, il lenzuolo sugli occhi!

Dio mio, fammi muovere, fammi urlare, Dio!

E il sogno: perché proprio adesso, invece di concentrarmi e trovare il modo di uscire da questa situazione pazzesca, mi viene in mente quel sogno? La mia testa non può fare a meno di accanirsi su una cosa che ora non ha più nessuna importanza.

O forse no, forse ho capito. Quella era la realtà e non un sogno e nella diversa realtà di allora ho continuato a vivere la mia solita vita pensando di aver sognato la mia morte. Adesso è successo ancora e sono ancora viva, anche se qualcuno si fida ciecamente di queste macchine infallibili che hanno decretato la mia morte.

Ora è tutto chiaro: la morte non esiste. E’ solo la vita che non si quieta mai, e io, come tutti quelli che mi hanno preceduta, continuerò a vivere eternamente in una forma diversa: in fondo a una bara invece che per la strada, in una casa, dentro un negozio o a bordo di un’auto. Sono condannata a vivere decomponendomi, a vivere nel buio per secoli, e, più in là, in chissà quale altro modo ancora.

Per sempre, senza riposo se non qualche ora d’oblio o di sonno, sempre pensando e, ormai sempre più muta, gridando e soffrendo l’atroce dolore di chi non ha più nessun corpo in cui riconoscersi.

     La morte non esiste onnipotente, implacabile Dio! Era questa la condanna che ci avevi promesso.



MARGARET COLLINA Nata a Bologna, laureata in Giurisprudenza, ancora giovanissima ha frequentato l'Accademia Antoniana di recitazione.
Attualmente si occupa di doppiaggio e insegna Dizione e Tecniche di Comunicazione.
Nel tempo libero scrive racconti e recensioni (alcuni pubblicati su riviste).

E' redattrice del sito www.italialibri.net .


Qui a fianco alcuni suoi lavori...



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